Indagini difensive e attività del Pubblico Ministero: stessa valenza formale e probatoria.
La sentenza in commento (Sez. III penale, 02.10.2018 n. 2049) evidenzia la medesima natura delle indagini raccolte dal difensore della persona sottoposta a procedimento penale con quella dell’attività del Pubblico Ministero.
La Corte, pronunciandosi su un ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva (confermando il giudizio del Tribunale) dichiarato inutilizzabili dichiarazioni raccolte ex art. 391 bis c.p.p., poiché non sottoscritte dal dichiarante in ogni pagina, giunge ad una conclusione molto diversa rispetto al grado di appello.
Partendo dalle note Sezioni Unite del 2006 (sent. n. 32009, Schera), che consideravano responsabile penalmente con la qualifica di pubblico ufficiale (e quindi per falso ideologico commesso in atto pubblico ex art. 479 c.p.) l’avvocato che spende in sede processuale documento attestante dichiarazioni da lui raccolte ex art. 391 bis c.p.p. non veritiere, si deve giungere alla logica conclusione che questo verbale abbia le stesse caratteristiche del documento di attività del PM.
Di conseguenza, deve essere applicata solo la nullità ex art. 142 c.p.p., nell’ipotesi in cui vi sia incertezza sui soggetti coinvolti o manchi la sottoscrizione del pubblico ufficiale.
A questo va aggiunto che l’analogo “trattamento processuale” tra gli atti di indagine investigativa e quelli di attività del PM, trova ragione proprio nella volontà del legislatore con la riforma della Legge 397/2000.
E quindi, la Corte in termini quasi perentori specifica che “la giurisprudenza non può creare una norma specifica per il solo verbale redatto ex art. 391 ter cod. proc. pen.. Ne risulterebbe una lesione al diritto di difesa, con conseguente rilevanza di una questione di costituzionalità della norma, se fosse così interpretata”.
Andrea Valentinotti
Sez. III penale, 02.10.2018 n. 2049