Estensione al convivente more uxorio della esimente ex art. 384, comma 1 c.p.
In questa sentenza delle Sezioni Unite dalla prosa nitida e rigorosa dell’Estensore Giorgio Fidelbo che appaga il piacere intellettuale di chi legge e soddisfa nelle conclusioni raggiunte dalla Corte, viene da pensare che abbiamo, allo stato almeno, perso un grande giudice costituzionale che avrebbe integrato una Consulta in questo momento in preoccupante deficit di penalisti.
Le Sezioni Unite giungono alla conclusione che l’art. 384, comma 1 del codice penale si applica anche al convivente more uxorio.
Molto complesso e ricco di riferimenti interni e convenzionali il percorso argomentativo della Corte Suprema, che spesso deve toccare questioni proprie anche del diritto di famiglia.
Innanzitutto va ricordato che la conclusione della Corte condivide e fa proprio l’orientamento finora minoritario nella giurisprudenza di legittimità e va di contrario avviso alle conclusioni rassegnata dal Procuratore Generale nella persona dell’Avvocato Generale Pietro Gaeta un giurista di notevole livello.
Nel caso de quo non era applicabile l’art. 384, comma 2 del codice penale che tutela già anche il convivente more uxorio per effetto della sentenza Corte cost. n. 416/1996, in quanto si trattava di vicenda in cui a seguito di incidente stradale l’imputata aveva riferito di essere alla guida di veicolo scontratosi con altro per proteggere il convivente datosi alla fuga e con patente di guida revocata (le dichiarazioni dell’imputata in quel momento non potevano essere precedute da alcun avviso ed erano state rilasciate a fini essenzialmente risarcitori, da cui l’imputazione di favoreggiamento personale).
In seguito è riportata in parte qua la motivazione della sentenza della Seconda Sezione 30.04.2015 n. 34147/2015, Agostino che aveva concluso nello stesso senso ed era la più riccamente argomentata tra quelle dell’orientamento minoritario che riteneva applicabile la causa di non punibilità al convivente more uxorio.
Le Sezioni Unite hanno affrontato e risolto molti ostacoli ed obiezioni anche assai serie per giungere alla conclusione di cui si è detto.
Le Sezioni Unite prendono atto delle distinzioni operanti a livello interno e convenzionale tra famiglia legittima tutelata dall’art. 29 Cost. e famiglia di fatto tutelata dall’art. 2 Cost. e dal fatto che gli ordinamenti interni anche ai sensi dell’art. 8 e 12 della CEDU hanno ampia facoltà di trattare e regolamentare diversamente la famiglia legittima e quello di mero fatto (diritto interno e convenzionale sul punto non sono affatto in frizione tra loro e consentono perfettamente di non equiparare la famiglia legittima con quella di fatto).
La Corte Suprema in motivazione valorizza la previsione dell’art. 9 della Carta di Nizza ormai vincolante per gli Stati della UE, che prevede il diritto di formarsi una famiglia nonché quello “di sposarsi” tutelati come libertà fondamentali riconosciute dal diritto Eurounitario e che contribuiscono ad attribuire pari dignità ad ogni forma di convivenza.
Una obiezione sollevata dalla Procura Generale era quella della impossibilità di applicare analogicamente una norma eccezionale come quella di cui all’art. 384, comma 1 del codice penale senza violare l’art. 14 delle Preleggi.
Le Sezioni Unite replicano che l’art. 384 c.p. non prevede una causa di non punibilità o una causa di giustificazione, ma in accordo con la migliore Dottrina, una causa di esclusione della colpevolezza.
In buona sostanza vi è un comportamento ritenuto inesigibile da parte del consociato collegato al fondamentale principio del nemo tenetur se detegere. Tra l’altro la norma sostanziale va letta in strettissima connessione con l’art. 199, comma 3 c.p.p. norma che a sua volta funge criterio interpretativo della norma sostanziale.
Una volta escluso che la norma di cui all’art. 384, comma 1 c.p. rappresenti una causa di non punibilità in senso stretto, nulla impedisce che la stessa possa essere applicata analogicamente in bonam partem (non hanno carattere eccezionale le norme di esclusione della colpevolezza) in quanto l’art. 25 Cost. prevede un divieto assoluto di analogia penale in malam partem.
Del resto identico è il conflitto interiore e l’inesigibilità del comportamento alternativo tanto per il coniuge che per il convivente more uxorio (convivenza che deve essere rigorosamente provata nel processo).
Filippo Poggi
Cass. sez. un. 17.03.2021 n. 10381 Esimente art. 384 cp e convivente more uxorio